La favola dello chef che libera gli italiani dalla cattiveria

Ricette immaginarie per riportare il bene sparito in Italia

Di Simone Mosca

Al banco di un bar di Boccadasse a Genova, da qualche tempo capita di sentire all’improvviso qualche vecchio tirare fuori tra un belìn e l’altro la storia di Aurelio Araucanà e del suo ricettario. 

La storia inizia sempre allo stesso modo. 

Al largo di Bogliasco, l’alba di qualche mese fa, un pescatore vide con la lampara galleggiare un libro. Lo tirò su, lesse, recava un titolo in spagnolo scritto, a quanto poteva capire, a mano e in bella calligrafia. «El gran libro de cocina e de l’alma según Aurelio Auracanà». 

All’inizio nessuno tra Genova e dintorni sembrava sapere chi potesse essere Auracanà, finché per caso, sempre al bar di Boccadasse, non arrivò uno chef milanese che lo aveva conosciuto. «È il più grande cuoco che abbia mai visto all’opera», disse anzitutto. Raccontò quindi che Auracanà, un uomo alto poco più di un metro e cinquanta e con due occhi piccoli e neri come due chicchi di caviale, era arrivato dalle Ande cilene perché, sosteneva, gli italiani che aveva sempre considerato i più grandi cuochi del mondo, erano diventati dei cuochi cattivi. «Non che adesso cucinino male, è che sono diventati proprio cattivi», diceva. E allora si era messo in mente di andare personalmente in Italia a restituire la bontà. «Con pasti dell’anima, esercizi spirituali della forchetta, a volte da mangiare, a volte no», diceva misterioso. Sbarcato dopo un’avventurosa traversata atlantica, finì a bussare agli studi di produzione dei reality più popolari, dai quali gli sembrava sarebbe stato più facile diffondere il suo messaggio. «Siete stati stregati da uomini cattivi, io posso liberarvi», si proponeva ogni volta riferendosi senza molti giri di parole ai politici che governavano il Paese. Ma ogni volta veniva deriso. Dopo qualche tempo si rassegnò e sparì, ma con sé, quando lo vide l’ultima volta – concluse la storia lo chef milanese – aveva ancora il pesante libro col quale era arrivato e sul quale aveva annotato centinaia di ricette. 

Illustrazione di Doriano Solinas

Il mare ne ha restituite, leggibili, appena una decina, sufficienti tuttavia per un menu, insieme a qualche riga della dedica e ad alcune note sui piatti che, a quanto pare, sono il frutto della tradizione di casa Araucanà.

Ecco una traduzione di quanto è rimasto della visione culinaria del grande chef Aurelio:

«Cari amici, oltre il grande mare, avete i cuori avvelenati dalle parole di uomini malvagi, ricordate che gli uomini malvagi passeranno, resterà solo il mare che ci fa fratelli. E non è forse per i fratelli che hanno più fame di noi che è buono cucinare?».

Antipasti

Briouats 

Piccoli sigari, tipici del Marocco e del Nord Africa, arrotolati in una sottile pasta fillo da riempire con carne macinata e un leggero soffritto di carote e sedani. Prepararne una decina, più uno da riempire di poca polvere da sparo. Porlo in mezzo al piatto, legato a una miccia, e mangiare in fretta gli altri, prima che il piatto salti e non resti nulla. 

In casa Araucanà si racconta che il cugino Gonzales – che in seguito sarebbe morto a New York, pare morso da un topo – mascherato da gringo riuscì a introdursi alla Casa Bianca e a farlo assaggiare a Kennedy e sua moglie Jacqueline, scongiurando così l’invasione di Cuba ma venendo arrestato. 

Olive alla Libica

Da servire due volte. Prendere le prime generose olive denocciolate, pensare all’olio e al Mediterraneo, condirle all’aglio e farle ripiene di acciughe e peperoni. Convincere gli ospiti che soltanto in una è nascosto un bullone di ferro. Le massacreranno in cerca del pericolo. Servirle una seconda volta, imbottirle tutte di bulloni salvo una dove andranno, sempre a scelta, un peperone  o una acciuga. Stavolta con cura tutti cercheranno l’unica oliva buona.   «Una volta trascorremmo la giornata di Natale con tuo nonno a cercare la benedetta oliva buona, bisognerebbe farlo anche con tutte le persone che siamo destinati a incontrare», ripeteva sempre la buon’anima di Rosalia Araucanà, mia nonna. 

Caponatina del Sahara

Preparare una caponata alla siciliana, se possibile usare la mentuccia. Poi prendere una manciata di sabbia e sale e cospargere il piatto. Fornire ad ogni commensale una brocca d’acqua, servire e osservare la vera sete. «A tuo nonno che sapeva divertirsi, piaceva anche preparare la ricetta ma con la Tequila, non l’acqua», diceva sempre nonna con uno spaventoso sorriso impudente. 

Primi

Ruz Bit Tamar Umile

È il tipico piatto orientale con riso bollito al quale, al termine della cottura, si mescolano zafferano e burro, mentre a parte in una padella, faremo cuocere nel restante burro le mandorle e i datteri che condiranno il riso. Si fa da millenni in Siria, e però spesso sono i milanesi che pensano di aver inventato il riso allo zafferano. «Non abbiamo inventato nulla Aurelio mio, persino gli occhi che abbiamo, se ci pensi bene, li hanno anche tutti gli altri». 

Borsch dell’Oligarca

Famosa pappa russa: 500 gr di carne, 300 gr di barbabietole, 200 gr di cavolo fresco tritato, 200 gr di cipolle, 2 cucchiai di concentrato di pomodoro o 100 gr di pomodori freschi, 1 cucchiaio di aceto, 1 cucchiaio di zucchero. Servirla non visti, in segreto, sopra uno strato di mazzette di rubli e dollari e guardare dritti negli occhi il potere del denaro. «Ti confesso che io fingevo sempre con nonno di non prendere nulla, e invece guarda qui», faceva nonna facendo frusciare una pila di banconote scolorite, cercandole nelle profondità del reggipetto. 

Spaghetti Basilico e Pomodori Sudati

Classico piatto della tradizione italiana, in questa versione nel sugo non si usa sale marino, ma umano. Cospargersi di polpa e correre e dissodare terra nelle ore più calde di un giorno d’estate. Ripulirsi del preparato così insaporito e procedere, avendone ancora le forze, alla cottura. «Sai Aurelio, che se uno mangia uno spicchio d’aglio crudo prima di sudare, il sugo sudato viene più saporito?». 

Secondi

Falsomagro con Uova di Pavone

Ricco piatto siciliano, la bellezza sta nelle uova sode avvolte nella fetta di manzo col lardo, la mortadella, il caciocavallo. Usare in questa versione uova di pavone e romperle con ferocia al momento del taglio, ricordando che la vera bellezza è nella bontà, non nella perfezione estetica. «Ma non umiliare mai la bellezza, Aurelio, se puoi anzi, guarnisci il piatto con un uovo sodo che nessuno oserà toccare», suggeriva nonna. 

Spezzatino del Pianto

Battere la carne di vitello con cattiveria eccessiva, per alcune ore, accanendosi e provando a capire se ancora al cuoco rimane della pietà. Chi non sa piangere non può prepararlo. «E anche se piange, fagli sempre un paio di domande, perché c’è gente che piange per finta benissimo, per esempio, tuo nonno», diceva nonna se era arrabbiata. 

Tartare Vistaterra

Immaginarsi in barca, preparare in un piatto un condimento di acciughe, aglio, senape, sale, pepe, Tabasco, Salsa Worcestershire, olio e aceto. Mescolare e immaginare anche la carne che sarebbe stato bello mangiare, così come la terra alla quale ci sarebbe piaciuto approdare. «Che poi, Aurelio, la tartare quasi sempre sa solo di senape».  

Dessert

Pan di Stelle

Alzare lo sguardo da tavola, all’aperto, fuori città, una notte limpida a fine cena. Fissare le stelle qualche minuto con calma. Accendere la tivù e riguardare bene, molto bene, il viso di Salvini. «Siamo tutti sotto le stelle, Aurelio mio, solo che alcuni uomini lo sanno e se lo ricordano ogni notte, altri o sono troppo stupidi per capirlo, o sono troppo in malafede per ammettere di saperlo».