Milano da tenere d’occhio. La città sa fare i conti – Intervista a Roberto Tasca

Di Giulia Porrino

Roberto Tasca, classe 1962, dal 2016 è assessore al demanio e al bilancio del Comune di Milano, la città dove nasce e cresce. Nel 1986 ha conseguito la laurea in Economia Aziendale con specializzazione in Mercati finanziari internazionali. Attualmente è professore ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari, presso l’Università degli Studi di Bologna ed è titolare dello Studio Tasca. 

Che cosa ne pensa della politica di oggi?

«La politica mi piace, per la sua accezione naturale è un modo per affrontare i problemi di tutti e di porsi diverse domande sul domani. Purtroppo oggi spesso le domande sul domani sono poche e troppe invece, quelle su ciò che accade nel presente. Dovremmo tenere più in considerazione che se si guarda troppo in basso si rischia di perdersi, nel momento in cui si rialza la testa. Il senso di responsabilità è una cosa buona, tuttavia il pericolo è di diventare ipocriti. Devo essere grato all’insieme di persone che lavorano con me: senza di loro non avrei potuto fare molte cose». 

Sempre più spesso si sente parlare del «Modello Milano»: in che cosa consiste?

«Credo che il Modello Milano sia sintetizzabile in due parole citate frequentemente dal nostro sindaco Giuseppe Sala: sviluppo e inclusione. Viviamo in un’economia di mercato, per distribuire bisogna riuscire a produrre e creare. Credo che oggi la decrescita felice non sia attuabile; diverso è invece porsi l’obiettivo della riduzione delle disuguaglianze. È fondamentale riuscire a tenere la città in tensione verso lo sviluppo, senza dimenticarsi – tramite l’inclusione – di chi è stato meno fortunato nella vita. Il Modello Milano non è esportabile a livello nazionale, Milano ha delle caratteristiche che la rendono una città unica in Italia». 

In che cosa Milano è diversa da Roma?

«Innanzitutto Roma ha una storia culturale differente rispetto a Milano e le sue dimensioni sono circa tre volte quelle di Milano. Quando ho iniziato a lavorare in Comune, ho trovato una certa continuità amministrativa che era funzionale allo sviluppo della città. A Roma invece, c’è un grado di incertezza maggiore che si somma ai tempi lenti della pubblica amministrazione». 

Qual è il grado di autonomia finanziaria di Milano?

«La città gode di uno straordinario grado di autonomia finanziaria, ormai prossimo all’80%. Il restante delle finanze deriva per il 7% circa, dalla Regione e per il 13% dallo Stato. Dal 2011 il grado di autonomia è cambiato progressivamente in seguito alle politiche miopi attuate dai governi: troppo spesso hanno cercato di non assumersi la responsabilità politica nel fare certe scelte che sono ancora pendenti; basta guardare alla questione delle province e del numero, ad oggi troppo elevato, di comuni. Con la giunta Sala si è raggiunto un aumento del 10% dell’autonomia finanziaria». 

In un lavoro come il Suo, come si uniscono i numeri alla questione umana? 

«Io parto sempre dai numeri: sono convinto che se non si tiene conto della disponibilità delle risorse, la popolazione non si può soddisfare. È comunque fondamentale attuare delle politiche sociali e culturali nel rispetto di alcune realtà. Finalmente il Comune ha completato dopo tre anni, il censimento di tutti gli immobili diroccati che sono sparsi sul territorio della città: sono 74, ma non vi sono i fondi necessari a ristrutturarli tutti. Avvieremo una serie di progetti che riguarderanno le associazioni della città. Il mio desiderio è provare a coinvolgere la collettività affinché questi immobili vengano ristrutturati e utilizzati per attività utili al territorio».  

Parlando di associazioni e volontariato: secondo Lei, quanto vale in termini economici l’attività di un volontario nella città di Milano? 

«È possibile rappresentare i valori sociali anche in modo economico, ma non in modo strettamente legato alle dinamiche economiche attuali. Bisognerebbe provare a identificare l’equivalente dell’intangibile nel sociale e nel pubblico. Al di là del PIL pro capite, c’è una componente di valore che viene prodotta da quello che rappresenta l’infrastruttura sociale di una zona: a Milano questa esiste e ha una considerevole fonte nel privato, cosa che non sussiste in altre città». 

Politiche giovanili e giovani: qual è il suo consiglio per le nuove generazioni?

«Ritengo che il nostro Paese debba valorizzare le politiche giovanili. Ogni anno emigrano 150mila giovani e non ne arrivano altrettanti, ciò significa che non siamo un Paese attrattivo. Tuttavia, se si guarda a Milano, circa 200mila giovani vengono a studiare nella nostra città, di questi circa 40mila sono stranieri. Credo che i giovani abbiano bisogno di prendersi ciò che vogliono, di insubordinarsi senza timore».