Milano 2030 – Università, innovazione, rispetto e compassione

Alberto Ruggieri

Di Elio Franzini

Luci a San Siro, di Roberto Vecchioni, una delle più belle canzoni del secolo scorso, è del 1971. Sono passati quasi cinquant’anni. Non sembra, ascoltandola oggi, ma è così: San Siro è ancora lì, speriamo a lungo, solo un po’ diverso, con un terzo anello, reso inutile nel tempo. E con vari progetti per buttarlo giù, forse inconsapevoli che, in un modo o nell’altro, occupa quegli spazi dal 1926. D’altra parte, non c’è più la nebbia di cui cantava Vecchioni – in città non si vede da anni. E con la nebbia sono scomparsi vari luoghi, modificando le topografie della città: quelle zone che si chiamavano le Varesine, la Fiera, Porta Garibaldi non sono più riconoscibili, sono siti cresciuti verso l’alto che fanno apparire il Pirellone un monumento (straordinario, ma pur sempre monumento) del passato, segno ormai antico di quell’innovazione milanese che doveva colpire chi, uscito dalla stazione, guardasse verso il cielo.

È dunque evidente la direzione che ha preso la città, potenziando una spinta iniziata già nel dopoguerra: città dell’innovazione, dalla moda alla tecnologia, abbandonando di necessità le sue origini industriali, i ritmi delimitati dalle sirene delle fabbriche e dalle campane delle Chiese. Sono anche nate molte nuove università, gli studenti degli istituti di livello universitario sono più di 220.000. Si è dunque rafforzata una tendenza verso modelli di sviluppo che senza dubbio inducono a pensare a prospettive diverse, non tutte facilmente ipotizzabili, considerando la velocità dei mutamenti.  Oggi la pervasività dei cambiamenti provoca infatti, un senso di spiazzamento, di rincorsa affannosa per tenere il passo verso mete che non si ha il tempo di assimilare pienamente. Si è quindi indotti ad adattarsi supinamente alle dinamiche di breve periodo, proprio in una fase storica in cui bisognerebbe guardare più lontano, per anticipare in qualche misura il futuro e attrezzarsi per tempo ad affrontarlo. Ma per meglio comprendere il futuro bisogna essere consapevoli della propria storia. 

Elio Franzini, si laurea in Filosofia e nel 1979 è professore di Estetica alla Statale di Milano. Dal 1992 lavora all‘Università di Udine. Nel 1994 torna a Milano dove è stato presidente del Corso di laurea in Scienze della Comunicazione, preside della Facoltà di Lettere e Filosofia e prorettore per la Programmazione e i Servizi alla didattica. È stato membro della Commissione ministeriale per il nuovo regolamento sulla formazione universitaria degli insegnanti e di quella per la definizione delle indicazioni nazionali per i licei. Fa parte del Comitato scientifico di diverse Fondazioni di ricerca. È membro dell’Istituto lombardo di scienze, lettere, arti. Dirige la collana Discorso, Figura per Mimesis ed è co-direttore de Il dodecaedro. Dal 2015 al 2018 è stato presidente della Società Italiana d’Estetica. È membro del Senato Accademico della Statale di Milano dal 2015. Nel giugno 2018 è stato eletto Rettore dell’Università degli Studi di Milano.

Elio Franzini, si laurea in Filosofia e nel 1979 è professore di Estetica alla Statale di Milano. Dal 1992 lavora all‘Università di Udine. Nel 1994 torna a Milano dove è stato presidente del Corso di laurea in Scienze della Comunicazione, preside della Facoltà di Lettere e Filosofia e prorettore per la Programmazione e i Servizi alla didattica. È stato membro della Commissione ministeriale per il nuovo regolamento sulla formazione universitaria degli insegnanti e di quella per la definizione delle indicazioni nazionali per i licei. Fa parte del Comitato scientifico di diverse Fondazioni di ricerca. È membro dell’Istituto lombardo di scienze, lettere, arti. Dirige la collana Discorso, Figura per Mimesis ed è co-direttore de Il dodecaedro. Dal 2015 al 2018 è stato presidente della Società Italiana d’Estetica. È membro del Senato Accademico della Statale di Milano dal 2015. Nel giugno 2018 è stato eletto Rettore dell’Università degli Studi di Milano.

Per tale motivo, anche nell’Università che dirigo, ho istituito un gruppo di ricerca denominato «Unimi 2040», che parte dall’analisi dei dati del presente – sui temi specifici di formazione e ricerca – per cercare di capire, comparandosi con altre realtà nazionali e internazionali, quali possano essere le strade del futuro. Infatti, un futuro efficace e innovativo si ha soltanto quando non si dimentica il passato, ma al contrario, lo si ricorda e sostiene, consapevoli che le istituzioni devono identificarsi con la propria storia, costruita ogni giorno, sempre di nuovo. Inoltre, sempre per rimanere sul terreno universitario, è iniziato il processo che nel 2025 porterà alcuni corsi di studio scientifici nell’area che ospitò Expo. Anche in questo caso, bisogna essere consapevoli che disegnare un’area nuova non è soltanto un’operazione contabile, o il soddisfacimento di ambizioni personali, ma un percorso difficile, condiviso e al tempo stesso problematico, che potrà avere successo se, e solo se, ne comprenderemo fino in fondo tutte le criticità, senza le quali non si espliciteranno le opportunità. Questo obiettivo non deve dunque far dimenticare la nostra Storia, città Studi, dove nel 1924 l’Università di Milano è nata. E che dovrà esserci ancora, con il suo passato rinnovato, nel 2030.

Immagino allora una Milano che sia sempre più come sono le sue Università: un polo attrattivo per l’Europa, in grado di disegnare una sempre più necessaria «cittadinanza europea» dei nostri studenti, ai quali si dovranno fornire servizi sempre migliori e adeguati (cosa che ora non accade: e quindi pure si spera che chi guarda al futuro non sia lasciato solo dalle istituzioni e dalla politica). Al tempo stesso, credo che l’Università, da qui al 2030, debba mantenere anche un’altra funzione, che si identifica poi con il suo destino: in momenti di crisi, del pensiero e della politica, è infatti suo compito primario interrogare se stessa e il mondo che la circonda. Non è una dinamica autoreferenziale, ma il tentativo di comprendere dove si è persa la strada, dove si è bloccato il cammino, dove l’elogio dei sentieri interrotti si è dissolto in frammenti lontani dai fondamenti stessi del vivere. Conoscere significa mettere in atto operazioni soggettive e intersoggettive in grado di comprendere e ordinare il mondo di cui abbiamo esperienza, così come si manifesta attraverso fenomeni collettivi. Interrogarsi su queste operazioni non significa tipicizzare il mondo e le cose, ma indagare il presupposto di ogni conoscenza possibile e reale, che precede – ne è condizione di possibilità – i singoli atti conoscitivi.

Senza tuttavia dimenticare – in linea con gli obiettivi ONU per il 2030 – che bisogna saper guardare ad ampio spettro. Nella sua prima versione il film Blade Runner si chiudeva con una frase pronunciata fuori campo dal protagonista: «Tyrell mi ha detto che Rachel era speciale: nessuna data di termine. Non sapevo per quanto tempo saremmo stati insieme. Ma chi è che lo sa?». Nessuno conosce il proprio destino. Eppure, pensare di costruirlo non è, nel mondo della conoscenza, un segno di hybris, di tracotanza, come insegnava la tragedia attica, bensì è l’unico modo, oggi, per generare il futuro. Come il nostro gruppo, che guarderà al 2040, noi tutti dobbiamo ogni giorno esplorare il nostro destino con l’entusiasmo, la creatività, la voglia di sperimentare strade non battute, quelle che forse solo i più giovani possono assicurare, quei nostri studenti, quei giovani ricercatori che giustificano da soli, con la loro presenza, il nostro lavoro quotidiano. Senza dimenticare mai – e chiudo – che senza dubbio dobbiamo porci obiettivi ambiziosi e innovativi, centrati sullo studente, la creatività, la collaborazione e l’integrazione dei saperi, mai dimenticando, tuttavia, «rispetto e compassione».

Lo sottolineo: rispetto e compassione, ciò che l’intera città deve ricordare ogni giorno. Giovanni Battista Montini, in seguito nostro Arcivescovo e papa Paolo VI, negli anni Trenta, nel pieno della dittatura, rivolgendosi a un gruppo di universitari, indicava come dovere dell’Università spirito critico e carità intellettuale. Spirito critico, cioè autonoma capacità di giudicare, carità intellettuale, ovvero disponibilità ad accogliere l’altro, l’intelligenza che deriva dal confronto con la differenza. Questo spero per Milano nel 2030, sperando al tempo stesso che si accendano ancora le luci a San Siro quale simbolo di una continuità «poetica» della nostra città.