Intersvista Impossibile A Peppino Impastato

Peppino Impastato interpretato da Max Ramezzana
Peppino Impastato interpretato da Max Ramezzana

Intervista Impossibile a Peppino Impastato. Giornalista e conduttore radiofonico assassinato da Cosa Nostra.

Peppino Impastato interpretato da Giovanni Impastato

Di Annagiulia Dallera

Cinisi, paese natale di Peppino Impastato. A casa sua ci sono pile di giornali dappertutto. C’è profumo di carta e da lontano si sente una radio. No, forse non è la radio. Forse sono le voci di un passato che non ha mai smesso di parlare, che non ha mai spento i riflettori sui fenomeni mafiosi, sulle ingiustizie, sulle stragi. Ed ecco l’uomo che da anni è il simbolo di questa lotta, di questo impegno e che rappresenta un monito per chi ha paura, un invito a continuare quello che lui ha iniziato.

Lei è un esempio di lotta alla mafia e all’omertà. È molto più facile stare in silenzio e subire. Perché lei ha deciso di parlare, di far sentire la sua voce?

«Per me, mio fratello e mia madre la strage in cui è morto mio zio, un capo mafia degli anni 70, ha rappresentato un trauma. Da quel momento ho capito che la mafia non era come pensavo. I mafiosi negavano di esserlo e davano ad intendere che fossero dediti ai poveri. Noi lo abbiamo capito dopo, che questo non era vero. Ho deciso quindi di intraprendere questa difficile lotta e di portare avanti il mio impegno politico, culturale e antimafioso».

Che cosa ha rappresentato Radio Aut nella sua lotta contro la mafia? Che implicazioni ha avuto?

«Radio Aut arriva alla fine di un percorso. Ho iniziato denunciando i mafiosi nel giornale L’Idea Socialista. Per questo mio padre mi ha buttato fuori di casa e mi ha ripudiato come figlio. Dall’Idea sono passato alle battaglie ecologiche contro la devastazione del territorio e anche lì mi sono scontrato con la mafia. Contemporaneamente ho fondato il Circolo Musica e Cultura. Il progetto di Radio Aut quindi emerge in continuità con altre esperienze politiche, culturali di antimafia ed è stata importante per canalizzare tutto quello che ho portato avanti negli ultimi anni, tra cui le lotte per l’ambiente, la musica, il cinema, il teatro. Mi sono reso conto che bisognava combattere la mafia cercando di ridicolizzarla, mettendola in difficoltà, perché il mafioso è tutto d’un pezzo, non può mai essere messo in discussione. L’avrei demolita, l’avrei sconfitta con un’arma micidiale: l’ironia».

Il giornalismo è sempre alla ricerca della verità? Dovrebbe essere così, ma ancora adesso si fa una grande fatica, soprattutto quando c’è di mezzo la mafia.

«Un giornalista deve essere obiettivo, non può essere di parte. Solo così si può raggiungere la verità. L’informazione è il perno principale della democrazia, ma se viene strumentalizzata e viene usata per interesse personale non è più informazione. Oggi ci sono meno giornalisti obiettivi e d’inchiesta. Bisognerebbe ritornare al giornalismo di denuncia, di attacco, quello dei miei tempi».

C’è qualcosa che secondo Lei non corrisponde al vero e che cambierebbe del film i Cento passi?

«Qualcosa manca. Io avrei aggiunto i grattacieli di New York nel viaggio di mio padre, la rappresentazione di un uomo che si trovava di fronte una realtà lontana dalla sua. Avrei anche girato qualche scena in più sugli scontri tra studenti e polizia all’Università di Palermo. Il film più che un capolavoro è una bella opera d’arte».

Se pensiamo ai recenti fatti di cronaca, come la morte di Maria Paola, di Willy, dell’intolleranza nei confronti degli immigrati, secondo Lei si può dire che siamo un Paese razzista o è una generalizzazione?

«È esagerato dire che siamo un Paese razzista. Riceviamo cattivi esempi sia dai settori della comunicazione, sia dalla classe politica. Non siamo razzisti. Riceviamo un’educazione razzista».

È cambiato qualcosa dai suoi tempi ad oggi sul tema delle disuguaglianze economiche tra nord e centro-sud?

«Lo squilibrio c’è sempre stato. Non so se continuerà ad esserci. Questo problema esiste da tantissimi anni, forse anche da più di un secolo. Molte ricchezze si concentrano nella parte industriale del nord, perché al sud non abbiamo avuto una classe dirigente in grado di risolvere i problemi del meridione. Anche la riforma agraria degli anni 40, con la complicità dello Stato non è stata applicata. E proprio quest’ultimo ha bloccato il processo di rinnovamento. Se la riforma agraria avesse funzionato, a questo punto non avremmo avuto un milione e mezzo di emigranti. Per questo lo squilibrio si è mantenuto».

Peppino Impastato interpretato da Max Ramezzana

Cosa ne pensa della fuga dei cervelli all’estero, legato al grave problema della disoccupazione? Che cosa farebbe per migliorare la situazione?

«La situazione è dovuta all’inefficienza dei governi che si sono succeduti in questi anni, che non hanno portato mai avanti un sano progetto di sviluppo economico e morale. Bisogna investire, togliere a quelli che hanno tantissimo e si deve proporre un piano economico secondo il quale dividere le risorse in maniera equa. L’assistenzialismo non funziona. Bisogna fare politica preventiva, non politica di emergenza».

Cosa ha pensato davanti alla scarcerazione dei boss mafiosi dovuta ai provvedimenti post-covid?

«È stato gravissimo. Ci ha fatto capire che il problema della mafia non si vuole risolvere. Anche qui si lotta contro la mafia sull’onda dell’emergenza, mai su quello della prevenzione. Non c’era bisogno di fare quel decreto per riportarli tutti in carcere. Bisognava fare una seria riforma carceraria ancora prima di farli uscire. È giusto garantire i diritti che spettano loro, ma allo stesso tempo dobbiamo metterli in condizioni di non nuocere anche all’interno delle carceri. Sono convinto che i penitenziari debbano avere una funzione educativa. Solo in questo modo si possono reintegrare i carcerati nella società».

Che parole avrebbe per Borsellino e Falcone, suoi conterranei, se fossero qui?

«Direi loro di andare avanti, di stare con la schiena dritta, di non accettare nessun tipo di compromesso, di non arrendersi mai. Solo rompendo il muro dell’omertà si può sconfiggere sia la mafia che la cultura mafiosa».