«Non perdere tempo ad avere paura» Ciao Dre

Di Oriana Gullone

È l’ultimo messaggio che ti ho scritto. Il 26 maggio. Il giorno prima che ti addormentassero. Credo. Poi ti ho mandato le mie prime foto dal Viaggio delle Stelle. Venerdì. Da Milano a Cortina, dalle montagne bianche, i selfie storti. Qualcuno le ha viste, hanno tutte la doppia spunta blu. Magari aveva il tuo telefono qualcuno che era con te. Che era lì a vederti andar via sorridendo. O magari ti sono arrivate poco prima che salissi lassù, sopra le nuvole, e magari, quel qualcuno che era con te, te le ha raccontate quelle foto. Mi piace pensare che sia vera la seconda ipotesi. Che ti sia sentito parte del nostro viaggio, quell’attimo prima di raggiungere Eleonora, Clementina, Isabella, Leonardo. Che il tuo sorriso dipendesse da quello. Dal sentirti parte di quel qualcosa, di quella redazione dove non sei mai stato, di quella famiglia di matti che non sei riuscito a conoscere per intero, ma alla quale sei piaciuto immediatamente. Devo ricordarmi di trovare il modo di fartelo avere il bullone. Al collo ancora non l’avevi, credo.

«Se sei malato, tu non sei morto. Hai molto da fare, quindi non perdere tempo ad avere paura».

Questo l’hai scritto tu. Su uno dei quaderni che avrei dovuto restituirti quando ti avrebbero dimesso dall’ospedale, o quando sarei venuta a trovarti. Pare che qualcuno sapesse che li avevo io. Che glielo avessi detto tu. Rimarrò sempre col dubbio di quanto questo «compito» che mi hai lasciato, fosse una volontà precisa, decisa, calcolata. Sai di cosa mi sto convincendo? Che quando ti ho detto che dei miei testi mi vergognavo, tu abbia deciso di sfidarmi. Che, dopo averne letto qualcuno, ti fossi convinto che era il momento di sbloccarla la mia vergogna, la mia paura del giudizio degli altri su quel qualcosa di troppo mio. 

Quasi ti vedo adesso, lassù, a ridacchiare per lo spintone che mi hai dato. A chiederti perché in chiesa hanno messo un organo e non una batteria. A goderti lo strappo alla regola che mi hai fatto fare al funerale col whisky, come se lo stessi bevendo tu. A scusarti per le maledizioni che tiro alla tua illeggibile calligrafia in corsivo, mentre trascrivo i tuoi appunti per chi, insieme a me, ha deciso che il tuo disco, il tuo «Origami perfetto», deve essere registrato per davvero. 

Siamo in sei, per adesso. Se ne aggiungeranno altri. Forse la notizia raggiungerà anche Jack. Vedi? Non ti smentisci mai. Se non fai casino ovunque metti le mani, non sei contento. Sto radunando un esercito, per rendere realtà un progetto che avevi in testa tu da solo. Forse perché una voce sola non basterebbe per raccontarti. Credo.